09/02/2021 - L’intensa presenza di polveri sahariane, che tra sabato e domenica ha tinto di giallo le distese innevate delle nostre montagne, non è un fenomeno così raro. Spesso, infatti, correnti che attingono alle zone sahariane, risalendo verso nord, trasportano masse di aria cariche di polveri che, sorvolando i nostri cieli, possono impattare al suolo.

Cosa ha portato, questa volta, a trovarsi immersi in un ambiente quasi surreale per via del colore giallastro che ad un tratto ha colorato i nostri cieli?

Saint Barthélemy

Immagine scattata a Saint-Barthélemy la mattina di sabato 6 febbraio scorso (foto di Paolo Pogliotti)

In caso di bel tempo, quando le masse cariche di polveri rimangono in sospensione, non ci accorgiamo quasi della loro presenza: il cielo appare un po' opaco e lattiginoso e, una volta depositate a terra per gravità, solo strumentalmente ne rileviamo l’aumento.

Se invece, come in questo caso, ci sono precipitazioni piovose e nevose, le polveri vengono depositate al suolo per effetto del dilavamento dell’atmosfera.

La variazione cromatica è immediatamente percepita e rende quasi surreale l’ambiente circostante. Ma i livelli in aria di polveri (le PM) non subiscono aumenti: lo scorso weekend, infatti, nessuna delle stazioni di misura della qualità dell’aria posizionate alle diverse quote - da 500 a 1700 m s.l.m. – ha rilevato incrementi delle concentrazioni in aria rispetto ai valori tipici stagionali.

immagine da satellite (MODIS Terra)

Immagine da satellite (MODIS Terra)

Che le polveri sahariane vengano depositate al suolo con le precipitazioni o per via della gravità, queste producono effetti sull’ambiente montano.

Polveri depositate al suolo per via delle precipitazioni

In questo caso, le polveri possono depositarsi sul manto nevoso e possono comportare la formazione di strati di neve con caratteristiche diverse dal resto del manto. Durante la stagione primaverile quando questi strati “riemergono”, per effetto della fusione degli strati soprastanti che si sono accumulati nel corso delle successive nevicate, espongono una superficie più scura, proprio a causa della concentrazione di polveri, che cattura in modo più efficace la radiazione solare e quindi accelera il fenomeno di fusione che causa la scomparsa della neve e l’aumento delle portate d’acqua nei torrenti.

Un fenomeno con una portata simile si è verificato nel 2016 e ha causato un’accelerazione della fusione nivale, avendo come immediata conseguenza l’anticipo di circa un mese la data di scomparsa della neve.

E’ importante riuscire a modellare tali processi naturali considerando l’impatto che possono avere sul ciclo idrologico di una regione di montagna. La studio e la previsione di tali processi si ottiene integrando misure in campo, campionamenti della neve, dati satellitare e metodi modellistici.

pista di rientro da Checrouit a Courmayeur

Immagine scattata a Courmayeur, pista di rientro da Checruit, la mattina di sabato 6 febbraio scorso (foto di Matteo Giglio - giornalista, guida alpina, maestro di sci)

Polveri depositate al suolo per effetto della gravità

In questo caso, il trasporto di polveri ne fa aumentare la concentrazione in atmosfera, peggiorando lo stato della qualità dell’aria che respiriamo. Il paradosso, infatti, è che quando il cielo è opaco a causa delle polveri, le quali arrivano a terra per effetto della gravità e vengono respirate, forse la maggior parte delle persone non se ne accorge, ma gli strumenti sì, rilevando picchi che, in alcuni casi di episodi del passato, hanno anche portato ad un aumento delle concentrazioni di polveri di 100 µg/m³.

ARPA studia questi fenomeni, non solo attraverso l’uso di modelli di previsione della qualità dell’aria, ma anche con strumentazione al suolo per registrare immediatamente l’alterazione della concentrazione di polveri fini PM e attraverso la valutazione che la deposizione delle polveri ha sulle dinamiche di fusione nivale.

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Modello di previsione per il weekend del 6 e 7 febbraio scorsi dal quale è evidente il passaggio delle polveri sahariane sull'Italia

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