15/11/2021 - È terminata la COP26 di Glasgow, la Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, e diverse sono le interpretazioni sull’esito della stessa. Abbiamo perciò chiesto a Marta Galvagno, esperta di ARPA Valle d’Aosta sul tema degli effetti dei cambiamenti climatici sui cicli del carbonio e dell'acqua e sulla fisiologia vegetale in ecosistemi alpini, di riassumere quanto è stato ottenuto e quanto invece non è stato portato a termine, cercando di capire fino a che punto sia corretto parlare di successo oppure di fallimento.

Si è conclusa da pochi giorni la COP26, la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021. Un appuntamento importante, perché i Paesi avrebbero dovuto prendere decisioni fondamentali per rendere attivo l'Accordo di Parigi, firmato nel 2015 durante la COP21. Ma anche per le voci di protesta messe in campo dai giovani attivisti a fronte dell'urgenza di agire subito per contrastare la crisi climatica, emersa dagli ultimi dati scientifici pubblicati dall'IPCC.

Per questi motivi, questa è stata anche la COP che ha ricevuto la maggior partecipazione (con quarantamila delegati) e la più alta attenzione mediatica di sempre.

Ancor prima che la Conferenza si avvicinasse alle ultime fasi di negoziazione, molti media parlavano già di fallimento, nonostante la presenza di alcuni importanti punti avanzati nelle prime bozze di quello che è poi diventato il Glasgow Climate Pact. E in effetti, a poche ore di distanza dalla decisione finale, un ultimo “colpo di coda” ha ridimensionato l'ambizione cambiando i termini di uno dei punti fondamentali del documento, quello del phase-out (fuoriuscita) dal carbone sostituito con il termine phase-down (riduzione), generando un’inevitabile delusione collettiva, ben rappresentata dalle lacrime durante la sessione di chiusura del Presidente di COP26, Alok Sharma.

Ma si può parlare veramente di fallimento?

Sicuramente nelle prossime settimane arriveranno analisi più lucide e dettagliate. Ma in questo momento è utile provare a distaccarsi da questa delusione finale, superando la dicotomia successo- fallimento, che tende necessariamente a far dimenticare i passi avanti che sono stati raggiunti durante questo enorme e complicato processo negoziale.

Quali sono stati allora i punti positivi e quelli controversi, o negativi, di questa COP26?

Punti positivi:

  1. L’approvazione dell’obiettivo di contenere il riscaldamento entro 1.5°C rispetto al periodo preindustriale e della traiettoria per raggiungerlo, riducendo le emissioni di gas climalteranti del 45% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2010). Come tutte le altre, questa decisione è stata presa all’unanimità, assumendo quindi un forte significato politico oltre che scientifico.
  2. La definizione delle regole sulla trasparenza, elemento cruciale dell'Accordo di Parigi, che permette di monitorare e tracciare i progressi dei Paesi rispetto ai loro obiettivi climatici (NDC) in modo accurato e comparabile.
  3. La definizione delle regole per l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi relativo al mercato di scambio delle emissioni di CO2.
  4. I paesi dovranno aumentare l'ambizione dei propri obiettivi dichiarati (NDC) entro un anno (e non entro 5 anni come precedentemente deciso).
  5. L’impegno a raddoppiare le risorse finanziarie da mettere a disposizione per i processi di adattamento.
  6. La maggior attenzione alla società civile, ai diritti umani e alla giustizia climatica.
  7. Sono stati presi degli impegni multilaterali per azzerare e invertire la deforestazione e il degrado del suolo.

Punti controversi o negativi:

  1. L’insieme di tutte le promesse climatiche formulate ad oggi dai Paesi, comprese quelle più incerte, ha portato il riscaldamento previsto a fine secolo da +2.7 a +1.8°C: un miglioramento importante, ma ancora lontano dall’obiettivo di +1.5°C. Per questo, si è deciso che i Paesi dovranno aumentare l'ambizione dei propri obiettivi dichiarati (NDC) entro un anno.
  2. Nonostante per la prima volta nella storia delle COP si faccia riferimento diretto ai combustibili fossili, l’ambizione intorno all’abbandono del carbone e ai sussidi alle fonti fossili è stata annacquata nelle fasi finali del negoziato, portando ad una formulazione vaga e poco soddisfacente.
  3. Finanza climatica: la COP26 termina purtroppo senza uno degli impegni più importanti ovvero il finanziamento di 100 miliardi di dollari che dovrebbero essere destinati dai Governi dei paesi ricchi a quelli in via di sviluppo.
  4. Loss and damage: non è stato definito un impegno per destinare fondi per perdite e danni legati ai cambiamenti climatici ai paesi più vulnerabili.

La sintesi che possiamo pertanto delineare è che la COP26 ha sicuramente permesso di ottenere dei progressi nel lavoro che ormai è urgentissimo portare avanti per rispettare il target di 1.5°C, ma è necessario essere consapevoli che questi passi, seppur significativi, non sono comunque sufficienti a raggiungere tale obiettivo.

Al tempo stesso, tutti possono lavorare a scala individuale, comunitaria, territoriale per dimostrare che è possibile ridurre le emissioni secondo la traiettoria richiesta (45% entro il 2030, equivalente a 7% in meno ogni anno).

È fondamentale allora continuare a riflettere su quello che non è stato portato a termine durante la COP26, senza per forza gridare al fallimento, ma mantenendo viva la motivazione, l’ambizione, e continuando a pretendere un maggiore sforzo per raggiungere gli obiettivi dichiarati.

Nel suo discorso dell’8 novembre 2021 alla COP26, l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ricordato che siamo ancora indietro rispetto al lavoro necessario per evitare gli effetti più catastrofici dei cambiamenti climatici, ma anche che ogni successo parziale ottenuto durante questi complicatissimi processi internazionali è un passo compiuto sulla lunga strada della lotta alla crisi climatica (Barack Obama at #COP26).

Prendendo quindi in prestito le sue parole conclusive: “let’s get to work”.

COP26

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